Nei nostri banchetti storici l'oliva ascolana è presente dai tempi dell'impero romano. Di esse parlano alcuni scrittori romani, ad esempio Marziale, il quale nelle sue lettere ed epigrammi mostra una speciale predilezione per questo frutto semplice e gustoso. Dice che era portato due volte a tavola: in principio del banchetto per aguzzare l'appetito e in fine per togliere dalla bocca la nausea.
C'è poi un periodo del quale non abbiamo tracce. Terminato l'impero romano non abbiamo infatti nessun documento che è in grado di narrarci la sorte delle olive. Solo nel 1550, secondo il Fabiani, troviamo di nuovo notizie riguardo esse: il concittadino Giovanni Maria Spinelli, inviava alla volta di Roma due "some" di prosciutti e olive per i chierici della Curia.
I monaci benedettini di S.Angelo, dal canto loro facevano, nel medesimo anno, un presente di olive e mostarda agli amici del monastero.
Ma in questi documenti, a cosa si alludeva? Alle olive in salamoia od a quelle nere, maturate al gelo o secche al forno? Panate e fritte? Siccome da tali documenti risulta che venivano spedite in barilotti di legno, in vasi o brocche di terracotta, possiamo dedurre che tali recipienti atti a "sigillare" fossero scelti per la conserva della salamoia.
Di quali personaggi deliziarono il palato le nostre olive? La lista è abbastanza lunga, pur essendo incompleta per la perdita di molte carte d'archivio. Nel maggio 1564 giungeva ad Ascoli il generale Gabrio Serbelloni, cugino di papa Pio IV. Egli fu a mensa dai Monaci di S.Angelo, insieme al governatore di Ascoli e alcuni capitani.
La nostra oliva è arrivata fino a Napoli ed a Roma dal Cardinale Peretti, futuro Sisto V. Pare siano arrivate anche al Pontefice Paolo V da parte di Giuseppe Sgariglia e alla fine del secolo al Duca di Parma Ranuccio Farnese.
Ed in città? Ascoli è stata per secoli una delle città più ricche del Centro-Italia, ma anch'essa ha avuto periodi di carestia. In questi ultimi la grande quantità di olive non riusciva a sopperire al problema del pane. Pertanto, possiamo concludere, si trattava di un alimento adatto a dei banchetti conviviali e non alla quotidianità.
Serafino D'Emidio